Memoria delle origini della nostra casa di Roma
Mi è gradito riandare con la memoria a tempi molto lontani e particolarmente cari,
perché costituiscono la nostra memoria storica.
Nell’accingermi a fare ciò, credo di poter anche rendere un umile servizio informando le giovani Discepole di G. E. su quanto avvenuto nel tempo che ci ha preceduto e di cui attualmente sperimentiamo i benefici, senza conoscerne la genesi.
Siccome il presente, ogni presente, affonda le sue radici nel passato e si illumina in esso, ritengo possa rivelarsi molto ricco di insegnamenti al presente, e di poter rispondere così alla richiesta, fattami dalle giovani sorelle una sera a ricreazione.
Rendere presente il passato credo sia una particolare possibilità di aprirsi soprattutto al rendimento di grazie a Dio per quanto ha voluto ispirare a chi ci ha preceduto e ci aiuta a comprendere come anche in quegli eventi noi eravamo a Lui già presenti e provvedeva amorevolmente al nostro bene e benessere in grande anticipo: prima che noi fossimo nate, almeno per molte di coloro che leggeranno queste note, e ci rende più consapevoli del progetto mirabile di Dio su di noi, come Famiglia religiosa.
Nel 1952, il 2 luglio, festa della Madonna delle grazie, nell’allora piccola casa di Roma,”Villa Santa Maria”, in via Delle Sette Chiese 91, Roma, il Consiglio generalizio – sotto la presidenza della Superiora generale, Madre Maria Machina, deliberò l’ammissione al noviziato di 22 postulanti, tra cui la sottoscritta: Perniola Anna Lucia, che prese il nome nuovo di Sr Aurea il 5 agosto dello stesso anno, nel giorno della Vestizione, nella Chiesa di Casa Madre S. Antonio a Tricarico (Mt).
Ricordo che lo specchietto ufficiale per l’ammissione, affisso nella casa di formazione a Tricarico, in luglio, portava questa data: firmato da Madre Maria Machina e dalla Segretaria generale, Sr Immacolata Parisi (come di consueto).
Le condizioni economiche della Congregazione erano veramente precarie, ma evangeliche. La giovane Famiglia religiosa intanto si espandeva perché cresceva in numero e qualità per le belle, numerose vocazioni. C’erano tutte le condizioni per guardare con fiducia al futuro e poter progettare.
VILLA
Fu fatto un prestito al Venerato Padre Fondatore dall’opera di Religione per mezzo del cardinale Alberto Di Iorio e l’Istituto potette acquistare dalla Famiglia Armellini, appartenente alla borghesia romana, la loro sede estiva: la villetta “Santa Maria”, costituita da diversi piccoli vani: un seminter-rato, un piano rialzato e un primo piano.
Era situata tra molto verde con alberi di pini secolari, monumentali, bellissime palme e qualche albero da frutta, di piccole prugne; vi era anche una pianta di fichi d’India lungo il muro di cinta: alle spalle della scuola elementare statale “Damiano Sauli” e dell’attuale bella Chiesa dell’Istituto, in seguito edificata e dedicata al “Corpus Domini”.
Mi scuso in anticipo di alcune possibili imprecisioni o sviste perché non consulterò documenti, ma ricorrerò solo ai ricordi come si sono impressi nella memoria, avendo avuto l’opportunità e la grazia di vivere direttamente le fasi della realizzazione del Progetto ideato per la nostra presenza a Roma: sede della Chiesa cattolica.
La nostra Famiglia religiosa, divenuta ormai di diritto pontificio, programmava per un prossimo futuro la nuova sede della Casa Generalizia a Roma, dando credito particolarmente alla Provvidenza. Ma si potette fare affidamento sull’impegno di tutte le comunità e delle singole Suore Discepole, che collaborarono generosamente con inauditi sacrifici, per lunghi anni, per saldare i debiti con i relativi interessi, a chi ci garantiva sulla fiducia della dignità del Ven. Padre Fondatore e vescovo di Tricarico.
Fatta la professione religiosa il 6 agosto 1953 e, conseguita l’abilitazione magistrale, il 26 luglio 1957 nel nostro Istituto “Gesù Eucaristico”, sito nel Convento di S. Chiara in via Monte, in Tricarico, ai primi del mese di novembre la Superiora generale mi comunicò il trasferimento con Sr Maria Chiara Sacquegno nella Casa di Roma, per attendere agli studi universitari.
Il 10 novembre partimmo per Roma; alla stazione era ad attenderci l’Economa generale Sr Carmelina Pia Malinconico; noi avevamo rispettivamente una valigia ed una valigetta con gli oggetti personali e ci recammo insieme a lei al Tram n. 5, che aveva il capolinea vicino alla Parrocchia S. Francesco Saverio cui appartiene la nostra comunità e, raggiunta la nostra casetta da via … attraverso un cancelletto di servizio, entrando attraversammo tutta la villa, ricca di verde; giunte a destinazione salimmo alcuni gradini e, deposti nel piccolo ingresso i bagagli, salutammo il SS.mo nella attigua, minuscola cappella, sul cui tabernacolo spiccava un’icona del volto dolcissimo di Maria con la scritta: “Mater amabilis”. L’altare era rivestito di marmo giallo e rosa, le mura anch’esse rivestite fino al soffitto di marmo bianco e, su quelle di fronte al piccolo altare, prendevano rilievo due lapidi scritte in latino, che indicavano essere ex camera o studiolo di uno dei familiari scomparso: personaggio importante, giureconsulto in utroque iure.
SCUOLA DELL’INFANZIA
In questo piano rialzato, accanto alla cappella funzionava già in due locali attigui la piccola scuola materna, diretta da Sr Felicita Milli, già stimata maestra di tirocinio nella Scuola “S. Caterina da Siena” nel nostro Istituto di Bojano (CB). Salimmo attraverso un’altra piccola rampa di scala al primo piano dove, nella saletta di ricreazione, era Madre Maria che nell’abbracciarci affettuosamente ci fece affacciare alla finestra esclamando: “Nello studentato a S. Chiara tutte stanze, qui tutti alberi; infatti da questa sera fino alla nostra partenza per Napoli, sarete ospiti delle nostre sorelle Sr Giuseppina Buzzelli e Sr Rosita Carovigno nei locali della parrocchia. Era una fraternità a servizio dei Sacerdoti nell’edificio dell’ampia casa parrocchiale, perché la camera che accoglieva le allora quattro suore studentesse a Roma: Sr Adele Chiurlia, Sr Eletta Adamo e noi due serviva per la Vicaria generale, Sr Angelica Parisi, e la Segretaria generale Sr Immacolata Parisi.
E questo farci ospitare in parrocchia si ripeteva tutte le volte che avevamo il piacere di accogliere le Superiore maggiori a Roma per i problemi dell’erigendo complesso o per la loro partecipazione alla vita della Chiesa in eventi significativi, naturalmente solo nel tempo in cui il cantiere era aperto per realizzare il progetto, in attesa del definitivo e reale trasferimento della casa generalizia a Roma.
Sr Maria Rosaria Fornari, Consigliera generale, una bella suora di origine napoletana, era la Responsabile della comunità, costituita da Sr Giuditta Guidacciolu, sarda di origine, Sr Ilia Zarelli di Ururi (CB), Sr Faustina Lenoci di Bitritto (BA) Sr Felicia Milli di Novoli (LE), Sr Eletta Adamo di Napoli, Sr Adele Chiurlia di Squinzano (LE), Sr M. Chiara Sacquegno di Lecce e Sr Aurea Perniola di Taviano (LE).
Conservo ricordi bellissimi e anche umoristici di questa comunità per la diversità e quindi la ricchezza culturale a causa della diversa provenienza e dell’esperienza dei membri, diversi tra loro, anche per età. Oggi il problema delle diverse culture è divenuto enorme nelle sue dimensioni, ma, con le dovute differenze, è sempre esistito. E ritengo che per la mia non breve esperienza di 68 anni dall’ingresso nella Congregazione mi sono arricchita delle diversità e anche dei limiti delle consorelle, come ogni sorella che il Signore ha chiamato a servirlo vivendo nella vita comunitaria il medesimo ideale ha avuto la stessa opportunità.
La Superiora per il suo spirito di preghiera, l’amore alla Chiesa e all’Istituto, alla cultura; per l’apertura, l’accoglienza, l’ottimismo, la fede, la fiducia e la cordialità di rapporti, congiunti a tanta semplicità, trasmetteva la gioia e suscitava – almeno in me – il desiderio di volerla emulare nella sua bella testimonianza di vita di “discepola”.
Sr Giuditta Guidacciolu, di origine Sarda, stenografa, grande igienista e amante della fraternità voleva molto bene soprattutto a noi giovani perché sempre allegre nonostante le reali difficoltà del tempo. Questa suora aveva uno spirito spiccato di attenzione verso tutte coloro che avessero qualche sofferenza fisica perché aveva svolto già la responsabilità di Superiora nell’ospedale fondato e ospitato nei locali dell’episcopio dal Padre (che lei, per vezzo, spesso chiamava papà). Ha curato per diversi anni la segreteria della scuola materna, elementare e media nella casa di Roma fino al giorno in cui il Signore l’ha chiamata a Sé.
Sr Ilia Zarelli aveva la responsabilità della cucina ed era anche l’economa senza portafogli perché le entrate erano irrisorie. Le case di Mugnano e di Santa Chiara erano autorizzate dalla Madre a venire incontro alla comunità. Per i biglietti dei tram, corsa operaia per le studentesse era Sr Maria Antonietta Mignella a versare il contributo, ecc…
Sr Ilia andava ai mercati generali e tutta la roba che si scartava – frutta, verdure, pesce, carne e uova – la raccoglieva e si caricava di borse. Né avevamo un frigo per poter conservare qualcosa. Comunque nessuna si lamentava, ma si benediceva la Provvidenza per quanto amorevolmente ci offriva anche tramite l’intraprendenza e il sacrificio della consorella.
Eravamo nella vera povertà, ma ricche di amore fraterno e di tanta comprensione e gratitudine verso tutte per ogni aiuto ricevuto o dato. La gioia era la nota dominante che ci rendeva anche tanto creative nell’alimentarla con originali espedienti, facendo sorridere tanto, anche il Venerato Padre, tutte le volte che durante l’anno, venendo a Roma, poteva farci dono di intrattenersi con noi, dedicandoci un po’ del suo tempo preziosissimo nell’ascolto; e quasi sempre ci apostrofava con l’appellativo: “monelle” o “monellacce”, a seconda delle circostanze, congiunto a quell’arguzia benevola che nutriva col senso profondo della paternità, nella sua grande riservatezza e semplicità.
Chi attendeva al bucato, allo stiro delle tovaglie della cappella, all’ordine degli ambienti era Sr Faustina: perfettissima; ma era molto seria, rideva sotto i baffi, non era mai eccessiva, non accettava in tutta quella penuria che uno spillo stesse fuori posto e faceva la persona severa con tutte, ma aveva un cuore generoso. Comunque il bucato, il lucido dei colletti con la punta del ferro adatto lo facevamo noi il sabato pomeriggio perché libere dalla Università. Molto bella era la vita della parrocchia per la sua organizzazione, la partecipazione e cura della vita cristiana alimentata dalle belle liturgie, catechesi, partecipazione alla vita sacramentale, cura dei malati anche negli ospedali e delle persone che erano nel bisogno. La domenica la celebrazione per tutte era in parrocchia.
L’attuazione della edificazione dell’opera era stata affidata al valentissimo e profondamente cattolico architetto, Signor Gildo Avetta, (autore anche del progetto della chiesa del “Memoriale” in Terra Santa) collaborato dall’architetto Sciascia e dall’Ingegnere Giovannini con l’impresa edilizia.
Dopo l’approvazione del progetto dei diversi plessi previsti di cui si sarebbe dovuta comporre la struttura, (che sono gli attuali) erano già iniziati i lavori di scavo delle fondamenta della Scuola materna e fissata la data del 19 novembre 1957 per porre la prima pietra.
Perché questa data? Il giorno 19 ci richiama S. Giuseppe, uno dei Santi Patroni dell’Istituto e mediatore della divina Provvidenza.
Purtroppo il Venerato Padre non poté benedire la prima pietra, né apporre la sua firma sulla pergamena contenuta nel rogito, perché pastoralmente impegnato in diocesi. Fu perciò affidato il compito al Parroco, don Giuseppe Generali, di origine bergamasca, presente anche don Zef Shestani, sacerdote albanese, rifugiato politico, collaboratore della parrocchia e della Radio vaticana. Oltre agli architetti, l’ingegnere, il personale dell’impresa, era presente l’On. Emilio Colombo, figlio spirituale del Padre, la Superiora generale, il Consiglio al completo e tutta la comunità; Sr Giuseppina e Sr Rosita, e anche Sr Ildegarde Pilla – allora studentessa universitaria di matematica a Castelnuovo Fogliani, – appartenente anche lei alla nostra comunità, almeno nei tempi di vacanza.
Come tutte le opere di Dio gli inizi furono segnati da diversi ostacoli.
Dopo aver acquistato la Villa Santa Maria, si scopri che vi era un impedimento; infatti non si poteva avere il permesso di costruire perché nel piano regolatore era considerata ampliamento della scuola elementare statale già menzionata.
Infine, dopo molte tribolazioni, si ottenne di passare all’opera, tramite la mediazione di Sr Pasqualina di origine tedesca; persona molto autorevole in Vaticano e fuori. Così il 4 ottobre 1958 il Padre Fondatore, nell’anniversario della fondazione della Congregazione, col taglio del nastro tricolore e la sua paterna benedizione, presenti l’On. Emilio Colombo, i sacerdoti e la comunità, inaugurava i locali della scuola materna: all’avanguardia per l’attrezzatura, ma anche per la metodologia e la didattica.
Con molta perplessità si passò alla costruzione del plesso che doveva ospitare la scuola elementare e media per i costi, ma anche a causa del terreno che risultò roccioso e fu faticosissimo perché a colpi di piccone si dovettero scavare profonde fondamenta, perché l’edificio doveva svilupparsi molto in altezza (quattro piani).
Anche in questa zona sorse un nuovo impedimento: non poteva abbattersi un pino perché monumentale. La Superiora pregava insistentemente e faceva pregare la comunità e la risposta non si fece attendere. Un giorno, verso le ore 14.00, un violento temporale si abbatté improvvisamente sul nostro quartiere della Garbatella, sradicando dalle profondità delle radici l’albero di pino, che si stese al suolo e, per grazia, senza danni alle persone. Ricordo che ci incuriosì tanto, cessata la tempesta, perché venne fuori una cassetta misteriosa che conteneva un cagnolino, sepolto dai proprietari, il cui capo era coperto da una bella cuffietta con trine e nastrini…
I lavori procedevano con alacrità e si era già potuta aprire gradualmente la scuola elementare. Al secondo piano del nuovo plesso in costruzione funzionavano tre classi. La futura quinta, aula ancora vuota del piano scolastico adiacente ai servizi, divenne dormitorio delle insegnanti di scuola elementare: Sr Clara Quarta, Sr Iole Di Guida, Sr Enrichetta Scalzi e di noi quattro studentesse, che con brandine ci accampammo a lungo. E non è difficile immaginare le operette che, anche involontariamente, accadevano nel sonno durante la notte… C’era chi parlava, chi strideva con i denti, chi aveva un respiro forte, chi rideva o parlava sognando e tutto rientrava nella norma. Per lavarci non vi erano problemi.
La cosa più bella fu la fine del “catecumenato”. Bisogna ricordare che la minuscola, anche se preziosa, cappellina descritta sopra, nella piccola casa esistente, poteva accogliere le sei suore ufficiali, noi studentesse “catecumene” pregavamo fuori nella stanza attigua comunicando con le battezzate tramite l’apertura della porta.
Ora invece al primo piano dell’erigendo edificio vi era una stanza adibita a cappella: sempre un po’ angusta, ma accoglieva tutte le presenti. Era corredata di un altare portatile in legno ideato dall’architetto. Con l’arrivo della Madre e del Consiglio si tornava al “catecumenato” provvisorio perché anche la nuova cappella era incapace di contenerci tutte, essendo la comunità un po’ cresciuta di numero con l’arrivo di altre consorelle.
Gli ambienti cominciavano a prendere forma definitiva ed era necessario arredarli. Ma dove attingere se già tutta la Congregazione era indebitata per la costruzione?
Si scelse una possibilità per noi della casa di Roma: dare inizio all’accoglienza dei numerosi pellegrini tramite agenzie cattoliche, in occasione del periodo preparatorio al Concilio Vaticano II.
Sr Maria Rosaria Fornari, la Superiora, con Madre Maria idearono di cominciare a procurare a debito biancheria da letto, da tavola, letti, comodini, sedie, lana per i materassi, stoviglie, mobili per arredare la sala pranzo, la grande cucina e così i piani III e IV, destinati in futuro a scuole, temporaneamente in stanze per pellegrini che sarebbero arrivati tramite agenzie cattoliche, in occasione del Concilio, i cui lavori preparatori riversavano tanti pellegrini a Roma.
La Superiora e la Madre si presentavano dai grossisti e candidamente esponevano la necessità di essere, se possibile, aiutate perché avrebbero presto aperto un pensionato per pellegrini. Così sulla parola fecero gli acquisti necessari per dare inizio all’attività. Si cominciò così a pregare senza sosta e a lavorare senza misura e da sole, senza personale esterno, ciascuna offrendo ordinario e straordinario e con vera gioia.
Sr Faustina cuciva, apparecchiava biancheria da letto, da pranzo. Sr Ilia usciva, organizzava pranzi, vendeva ai pellegrini oggetti sacri, nell’ambiente dell’attuale portineria, dove c’era anche la gettoniera. (Simonetta)
Sr Maria Caterina in cucina alcuni giorni, e noi con lei, non andavamo a letto perché mentre partiva un gruppo di pellegrini bisognava spesso preparare anche il cestino da viaggio e accogliere subito un nuovo gruppo. Sr Fulgenzia Di Dio con la postulante, l’attuale Sr. Costante Giuffreda (ora residente a Manfredonia): con lei era addetta alle stanze, ai corridoi e alla scala e brillavano per accuratezza…
Il refettorio da pulire, apparecchiare, sparecchiare, servire a tavola e lavare tutte le stoviglie per circa 120 persone al giorno: a colazione, a pranzo e a cena; asciugarle, sistemarle ecc. erano affidati a Sr. Maria Chiara e a Sr Aurea, ma senza lavastoviglie: lavavamo come sprofondate nei lavandini.
La giovinezza ci dava le ali perché soprattutto noi studentesse sentivamo imperioso il bisogno di renderci utili con gratitudine.
Allora non si andava in famiglia se non per tre giorni, e ogni quattro o cinque anni. L’estate era veramente bello; fatti gli esercizi spirituali si lavorava sempre insieme: pulire materassi, fare la provvista dei pomodori per l’inverno, la salsa, le bottiglie, preparare marmellate, mettere sotto aceto o olio peperoni, melanzane, zucchine, fagiolini, cipolline ecc.
Nel lavoro manuale facilmente ci si elevava a Dio con preghiera silenziosa di adorazione, di rendimento di grazie ecc. Si stava allegre, ma si curava anche molto il silenzio che ci rendeva attente all’ascolto di Dio, al discernimento degli spiriti che animavano la nostra vita interiore ed era un habitus sentire il bisogno di purificazione, di chiedere perdono o scusa anche delle eventuali mancanze di delicatezza, di garbo, di gentilezza, di essersi scusate di fronte ad un rimprovero immeritato.
Era molto praticato il silenzio, come mezzo efficacissimo per essere docili e attente alle mozioni interiori dello Spirito, che ci rendeva aperte alla grazia, al bisogno di purificazione, ad accettare con gioia quanto ci indicano le Costituzioni nella spiritualità. Ricordo che era uno stile quello di lavorare in silenzio e di essere poi esplosive nell’ora di ricreazione divenendo molto creative per tenere alto il livello della gioia. Si inventavano molte cose per rendere spiritualmente gaia la ricreazione e si scaricava ogni tensione causata da stanchezza. Si preparavano gli scherzi alle sorelle più grandi rimanendo sempre nel rispetto.
Soddisfatti i creditori con il guadagno del nostro lavoro di accoglienza, si chiuse l’attività di ricevere i pellegrini e si continuò con la scuola materna, elementare e media, opera molto apprezzata dalle famiglie per la qualità dell’insegnamento, la formazione degli alunni, lo stile di famiglia. Si aggiunse la scuola di musica e di danza classica per quanti lo desiderassero, avendolo proposto le stesse famiglie. Ogni anno a conclusione vi erano anche saggi scolastici, musicali ed artistici.
Fino a quando la chiesa non è stata costruita e consacrata, per diversi anni il refettorio scolastico, ora riservato alle Ospiti anziane, si trasformava in cappella e i ragazzi ricevevano la prima comunione e la cresima perché sceglievano di ricevere nell’Istituto i sacramenti, sempre con i dovuti permessi e il beneplacito del vescovo di settore e del parroco, con i quali collaboravamo attivamente nella pastorale parrocchiale in tutti i campi: animazione liturgica, canto, catechesi, giornate eucaristiche, preparazione alla vita sacramentale dei ragazzi, dei giovani ecc. Era un fiorire di opere.
LOCALI DEGLI OSPITI ANZIANI
Ho detto prima che le opere di Dio soffrono tribolazioni e così fu anche per la Chiesa.
Riuscimmo a comprare alla fine il suolo su cui attualmente sorge, perché i proprietari si erano riservata quell’area; penso che con nostalgia cullavano il sogno di un loro possibile ritorno in quel luogo certamente caro, perché loro abitazione estiva.
Così dopo aver costruito il terzo plesso: casa Generalizia e casa della comunità di Roma, si passò alla costruzione della Chiesa.
Comunque Sr Maria Chiara ed io siamo rimaste a Roma fino alla vigilia dell’apertura del Concilio Vaticano II, perché abbiamo anche insegnato un anno nella scuola elementare non avendola Madre insegnanti Suore a disposizione in quell’anno.
La Madre volle che nel pomeriggio del 9 ottobre 1962 raggiungessimo Napoli in Via Emanuele Gianturco 2 con i bagagli e, dopo cena, ci comunicò la nuova destinazione: dove ciascuna veniva trasferita e il compito che avremmo assunto mentre lei si preparava a raggiungere Roma per partecipare al solenne avvenimento per tutta la cattolicità: l’apertura del Concilio Vaticano II.
Ci concesse benevolmente di soddisfare il nostro grande desiderio – prima di dare inizio alla nostra missione educativa – di poter pregare sulla tomba del Padre a Tricarico, per affidarci alla sua intercessione e partire con la sua benedizione e quindi assistemmo con la comunità di Santa Chiara per TV alla solenne apertura del Concilio. Il giorno seguente partimmo per le rispettive destinazioni.
Ora due parole sulla Chiesa annessa alla casa Generalizia e casa di Roma perché, anche se sono stata lontana durante questo periodo, ho avuto modo di conoscere direttamente quanto sto per dire e di essere stata anche chiamata dalla Madre a Roma per una settimana in preparazione della consacrazione.
Chiesa del CORPUS DOMINI Roma – facciata
Madre Maria, innamorata di Gesù eucaristico e dotata di gusti raffinati voleva una chiesa bellissima, possibilmente di stile gotico e senza risparmio, ma l’architetto cercò in una forma moderna di esaudire i suoi voti dandole tutte le ragioni che la convinsero. Si passò subito al Progetto e si realizzò il “modellino” in miniatura. Si scelse materiale pregiato: travertino e peperino per il rivestimento delle mura, interrotte da lunghe e strette finestre, sormontate da n.16 losanghe istoriate con vetri speciali – per qualità e tecnica – disegnati e fatti eseguire dal celebre Prof. Rossi. In queste losanghe sono effigiati, sul versante destro delle pareti, episodi del Vecchio Testamento che prefigurano l’Eucaristia e, sul sinistro, immagini e miracoli – sempre eucaristici – del Nuovo Testamento. Di fronte, sulla facciata, trova la sua giusta collocazione l’ultima Cena e il distintivo della Congregazione con il motto: Magister adest et vocat te!
Infine, più giù, una bella immagine della Vergine col Bambino.
Si scelsero marmi pregiati per il pavimento, porfido per il presbiterio e per il disegno del pavimento, calicata per gli amboni, l’altare, la pedana e fu rivestita di marmo cipollino la colonna sostegno del medesimo; in mosaico la parete del presbiterio sormontata da una grande stella in onice, le cui punte sono intercalate da quelle in mosaico con tasselli in oro molto visibili e al centro, in giù, il tabernacolo prezioso, la cui porticina è anche sormontata da pietre preziose.
Secondo le norme del tempo vigenti in campo liturgico, dodici candele venivano accese durate l’esposizione del SS.mo: l’ostensorio era collocato in alto dal sacerdote, che saliva una scaletta stabile dietro l’altare, al posto dell’attuale anagramma di Gesù.
In origine vi era una griglia pregiata che chiudeva quel posto riservato all’ostensorio quando Gesù era nel Tabernacolo. Il Magistero della Chiesa negli anni seguenti al Concilio emanò nuove norme liturgiche circa il mistero eucaristico, sottolineando che l’ostensorio trovava la sua giusta collocazione sull’altare perché esprime meglio l’aspetto sacrificale dell’Eucaristia. Quindi successivamente fu consultato lo stesso Architetto Avetta, il quale si occupò della trasformazione che abbiamo attualmente, e anche dello spostamento della Croce – ora decorata con smalti – su una base che un artista fiorentino fece, insieme alla colonna con i misteri del rosario, aggiungendo anche quelli più recenti della “luce” voluti da papa Giovanni Paolo II, colonna su cui è posta la statua della Madonna Addolorata.
Due lastroni in bronzo – a metà navata – sulle pareti laterali realizzate da Dragoni, raffigurano l’Addolorata e S. Giuseppe.
La Via Crucis nel suo percorso è scolpita sul travertino che riveste le mura. I banchi, disegnati dall’architetto, ad incastro sono stati realizzati in legno di noce stagionato. I vetri delle finestre hanno colori che creano tutta un’atmosfera di grande raccoglimento per la preghiera di adorazione.
Chiesa del CORPUS DOMINI Roma – interno
In seguito, l’architetto affidò al Prof. Cinti il mosaico esterno sulla facciata che indica con i due angeli in preghiera come la chiesa sia dell’adorazione: dedicata al Corpus Domini.
Terminati i lavori nel 1965 e completati gli arredamenti, si giunse alla data della consacrazione della Chiesa, che avvenne il 16 gennaio 1966, festa di S. Marcello, presieduta dal Signor Cardinale Lugi Traglia, allora Gerente della diocesi di Roma.
E fu una grande festa. Le Suore accorsero numerose da tutte le regioni e riempirono otre misura il matroneo, potendo così assistere dall’alto al rito della consacrazione.
Finiti i lavori fu la volta della sistemazione della Villa. In fondo è stata collocata una statua bianca: è la Vergine della Rivelazione, venerata alle Tre Fontane, perché Sr Maria Rosaria a lei con fede affidava anche l’area dell’esproprio da parte del comune di Roma per l’ampliamento della strada, entro quali confini doveva avvenire affiggendovi le sue immagini lungo il percorso e così avveniva.
Il Padre, spiritualmente presente dal cielo, avrà certamente goduto con noi e per noi per il compimento del Progetto e noi lo preghiamo di cuore di vegliare sempre sulla sua e nostra Famiglia religiosa perché sia fedele e attenta a tenersi stretta alle radici pur dovendo nella storia dare risposte secondo le esigenze dei tempi, facendo profondo e serio discernimento spirituale sempre, per non incorrere nel pericolo di seguire le “mode” certamente dannose e caduche. La vera devozione alla Madonna santa come la intendeva Lui sarà il nostro vero baluardo contro ogni possibile tentazione mondana.
N.B. Proprio per l’attenzione, già raccomandata dal Venerabile Padre nelle Costituzioni del 1933, rivolta a coloro che sono chiamate al governo dell’Istituto “di non cristallizzarsi” nei mezzi, si sono col tempo verificate trasformazioni di opere e di ambienti, sia nel plesso centrale, che in quello della comunità. (Es. scuole fiorenti in casa di riposo; i dormitori delle suore, inizialmente camere a quattro posti e bagni e docce comuni per lunghi anni, in seguito l’attuale trasformazione, ecc. frutto di discernimento spirituale anche comunitario.
Quello che bisogna far sempre brillare è il fine, i mezzi possono sempre cambiare, in ordine ai bisogni dei fratelli, nei diversi tempi della storia.
Roma, 11 febbraio 2019
Madre Aurea Perniola DGE